L’olfatto è il più potente dei nostri sensi, ci permette di registrare informazioni che generano connessioni fra persone, abitudini, luoghi, fatti.

Nei secoli il profumo è passato da elemento di perdizione, peccaminoso, a mezzo di espressione che parla di noi e del nostro stile. Il profumo è poi un’immediata connessione ad un’aurea di lusso e di eleganza: due gocce di N°5 ci fanno subito sentire Marilyn Monroe.

E’ comprensibile quindi che il mercato della profumeria sia uno dei pochi settori a non aver subito la crisi economica e, addirittura, sia cresciuto negli ultimi anni.

Accanto alla creazione di nuovi prodotti e fragranze e alla nascita di nuove figure professionali – i c.d. “NASI” – sempre più imprese stanno investendo nel “Marketing sensoriale”, ovvero nell’utilizzo di fragranze come metodo per attirare e fidelizzare il cliente (basti pensare a tutte quelle aziende che hanno deciso di profumare i loro ambienti con particolari note, atte ad imprimere nel cervello del cliente l’associazione profumo-azienda e a rendere così gradevole l’esperienza di acquisto).

Ma come tutelare un profumo?

Storicamente l’industria delle fragranze ha trovato protezione tramite la disciplina dei segreti industriali e del know-how, rivelando gli ingredienti solo in presenza di clausole di stretta confidenzialità. Tuttavia, in tempi più recenti, è nata l’esigenza di reperire una qualche forma di tutela che permettesse, da una parte,  di mantenere una forma di esclusiva sulla fragranza e, dall’altra, di rispettare la disciplina in materia di confezionamento ed etichettatura dei prodotti che, a tutela della sicurezza dei consumatori, richiedeva che il contenitore o l’imballaggio del profumo riportasse indicazioni relative alla sua composizione.

Ricercando tra i mezzi di tutela predisposti dal legislatore, potremmo concordare sul fatto che un profumo potrebbe essere astrattamente tutelabile tramite la forme del brevetto, con la registrazione della formula chimica della sostanza che lo emana. Tuttavia, implicando la brevettazione l’immediata pubblicazione di quanto tale brevetto rivendica – ingredienti, quantitativi, modalità di miscelazione e combinazione -, pochi produttori di profumi accetterebbero di spogliarsi totalmente dei loro segreti per una tutela, per giunta, a termine.

I produttori di profumi francesi e olandesi hanno tirato un sospiro di sollievo quando la Corte d’Appello di Parigi e l’Alta Corte olandese – rispettivamente nelle sentenze Oréal v. Bellure e Lancôme v. Kecofa – hanno riconosciuto la tutelabilità delle fragranze come opere d’ingegno proteggibili mediante copyright purché percepibili e originali.

Va aggiunto poi che, in questo caso, a differenza di quanto avverrebbe in caso di tutela brevettuale, sarà il profumo stesso ad essere protetto e non il liquido da cui esso proviene; allo stesso modo in cui non è oggetto di copyright la carta di un libro, ma il suo contenuto. Pertanto, paradossalmente, qualificherà violazione la produzione di un profumo contenente ingredienti completamente diversi ma sprigionante le medesime fragranze, mentre sarà lecita la produzione di un profumo con una formula simile ma emanante un profumo diverso.

Segnaliamo, inoltre, per completezza, che la tesi per cui le fragranze possono essere tutelate con il diritto d’autore è stata ribaltata in un caso simile dalla Corte Suprema francese che, nel caso Bsiri-Barbir v. Haarmann & Reimer, ha dichiarato che la fragranza di un profumo non costituisce una forma tangibile di espressione e quindi non è soggetta alla protezione del copyright in quanto i profumi sono fabbricati attraverso l’applicazione di una conoscenza puramente tecnica.

Nell’esigenza di rintracciare una qualche forma di tutela per gli elevati investimenti nell’industria della profumeria, che richiede sempre maggiori sforzi economici in termini di ricerca, costi di realizzazione e di reperimento di prodotti sempre più particolari, è stata recentemente ammessa la possibilità di registrare la fragranza come marchio d’impresa, qualora nuova e distintiva.

Prima frontiera di tale prassi – com’è facile immaginarsi – è stato l’ordinamento statunitense il cui primo marchio olfattivo risale al 1990 e consisteva in una “fragranza fresca, floreale che ricorda i fiori di mimosa di colore rosso” per distinguere il filo da cucire da quello per ricamo. Recentemente è stato invece registrato l’odore di piña colada da un’azienda di strumenti musicali per contraddistinguere gli ukulele di sua produzione.

In ambito Europeo, alla strada della registrazione delle fragranze come marchi si frappone, tuttavia, ancora un ostacolo, ovvero la difficoltà di soddisfare il requisito della “rappresentazione” (non più “rappresentazione grafica“, almeno nella disciplina europea) del segno, non essendo le fragranze entità materiali e “visivamente percepibili”.

Indicazioni a tal proposito possono essere desunte dalle decisioni delle Corti Europee e dalla prassi dell’EUIPO che, in determinati casi, hanno consentito una descrizione verbale del profumo qualora il segno olfattivo, così come descritto dal richiedente, rappresentasse un odore preciso, riconoscibile da chiunque sulla base dei propri ricordi. Così è stata ritenuto registrabile il marchio per “profumo di erba appena tagliata” applicata alle palline da tennis.

Diversamente, invece, non sono state ritenute soddisfacenti descrizioni non considerate sufficientemente oggettive, ma piuttosto connesse alla capacità cognitiva del richiedente (ad es. “odore balsamico fruttato con leggera traccia di cannella”), oppure le formule chimiche, in quanto non chiare ed intelligibili o il deposito di un campione, perché non stabile e durevole nel tempo.

In sede comunitaria si è inoltre paventata l’utilizzo di una sorta di “Classificazione internazionale di odori”, simile a quella già esistente per i colori o per la scrittura, che possa consentire l’identificazione obiettiva e precisa di un segno olfattivo grazie all’attribuzione di una denominazione o di un codice preciso. Ciò consentirebbe ai richiedenti di adempiere con successo all’onere di rappresentare il segno olfattivo.

Tale sistema di classificazione internazionale non è stato ancora elaborato sebbene un tentativo sia stato fatto dalla Commissione Tecnica della Société Française des Parfums che, nel 1999, ha realizzato una “Classification des Parfumes” raggruppando in determinate classi di odori le fragranze usate dall’industria dei profumi.

Altri sistemi giuridici nazionali prevedono, invece, criteri meno restrittivi per la rappresentazione grafica dei segni olfattivi: l’Ufficio Marchi Britannico, ad esempio, ha concesso la registrazione di una “fragranza floreale di rose” applicata a pneumatici e di “forte odore di birra” applicata a freccette.

Tali difficoltà, forse, non sorgerebbero qualora si ritornasse alla tesi della tutelabilità delle fragranze con la tutela del diritto d’autore, in cui il diritto si acquista con il mero fatto della creazione/esternalizzazione e la registrazione dell’opera ha un mero valore di pubblicità-notizia.

Tuttavia è lecito dubitare che tale strada sarebbe risolutiva; infatti, se requisito essenziale per il riconoscimento del diritto di autore è l’originalità, sembra difficile ravvisare tale elemento in molti degli odori che sono stati sinora rivendicati come segni distintivi, come ad esempio il sopra citato “odore di erba tagliata“.

In conclusione, non bisogna dimenticare che ad ogni strumento di tutela corrisponde una specifica funzione: la protezione di una fragranza con il marchio d’impresa richiede attitudine a distinguere e, pertanto, quello che si può consigliare a chi abbia interesse a registrare un marchio olfattivo è di aumentare gli investimenti in comunicazione e pubblicità: con molta probabilità, utilizzando la fragranza essa acquisterà carattere distintivo acquisito e, attraverso la prova certa che i consumatori riconoscono quell’impresa o i suoi prodotti in virtù di uno specifico odore, vi saranno maggiori chances di registrarla con successo.