I marchi collettivi e di certificazione sono prossimi alla conversione, in seguito all’entrata di vigore del Decreto legislativo n. 15/2019. Vediamo cosa cambia.

Marchi collettivi e di certificazione: le novità

Fino ai primi mesi del 2019, il compito di certificare la qualità, l’origine e la natura del prodotto, in un’ottica di valorizzazione dei Consorzi e delle Associazioni e a tutela dei consumatori, era affidato – insieme a DOP ed IGP – ai marchi collettivi. In molti casi il marchio collettivo ha permesso di efficacemente difendere il Made in Italy agroalimentare nella lotta, ad esempio, al grave e crescente fenomeno dell’Italian Sounding o dei wine kit.

A seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 15/2019, in ottemperanza a quanto già disciplinato a livello europeo, alla figura dei marchi collettivi è stata affiancata quella dei marchi di certificazione.
Ciò ha tuttavia reso necessario un periodo di “transizione” per concedere ai titolari di domande/registrazioni effettuate ex art. 11 vecchio testo (quindi come “marchi collettivi”) di definire se il segno depositato fosse un marchio collettivo vero e proprio o un marchio di certificazione.

L’istituto del marchio di certificazione non era infatti sconosciuto all’interno del nostro ordinamento, ma era stato dal legislatore inserito all’interno della disciplina del marchio collettivo, definito in maniera molto ampia, così da racchiudere sia la funzione tipica di questi ultimi sia la funzione di garanzia o certificazione. Esso era inoltre già presente in numerose giurisdizioni europee, ad esempio Francia, Spagna, Inghilterra e previsto a livello UE.

Con la legge di delegazione europea 2016–2017 n. 163/2017, in attuazione della direttiva UE 2015/2436 sul ravvicinamento delle leggi degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa, il legislatore italiano ha delegato il governo ad adottare misure idonee ad aggiornare la disciplina in materia di marchi collettivi allo scopo di uniformarla alle disposizioni della direttiva (UE) e a prevedere, in tema di marchi di garanzia o di certificazione, l’adeguamento della normativa nazionale a quella comunitaria.

​Articolo 11 e 11 bis del Codice di Proprietà Industriale

E’ stata condotta  una parziale riscrittura del testo dell’art. 11 cpi (già relativo ai marchi collettivi) ed introdotto il nuovo art 11bis relativo ai marchi di certificazione.

ART 11 (MARCHIO COLLETTIVO) ART 11bis (MARCHI DI CERTIFICAZIONE)
Le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti, escluse le società di cui al libro quinto, titolo quinto, capi quinto, sesto e settimo, del Codice civile, possono ottenere la registrazione di marchi collettivi che hanno la facoltà di concedere in uso a produttori o commercianti. Le persone fisiche o giuridiche, tra cui istituzioni, autorità ed organismi accreditati ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione, a garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi di certificazione, a condizione che non svolgano un’attività che comporta la fornitura di prodotti o servizi del tipo certificato.
I regolamenti concernenti l’uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione in conformità ai requisiti di cui all’articolo 157, comma 1-bis; le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all’Ufficio italiano brevetti e marchi per essere incluse nella raccolta di cui all’articolo 185. I regolamenti concernenti l’uso dei marchi di certificazione, i controlli e le relative sanzioni devono essere allegati alla domanda di registrazione in conformità ai requisiti di cui all’articolo 157, comma 1-ter; le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all’Ufficio italiano brevetti e marchi per essere incluse nella raccolta di cui all’articolo 185.
Le disposizioni dei commi 1 e 2 sono applicabili anche ai marchi collettivi stranieri registrati nel Paese di origine. Le disposizioni dei commi 1 e 2 sono applicabili anche ai marchi di certificazione o di garanzia stranieri registrati nel Paese di origine.
In deroga all’articolo 13, comma 1, un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. Qualsiasi soggetto i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica in questione ha diritto sia a fare uso del marchio, sia a diventare membro della associazione di categoria titolare del marchio, purché siano soddisfatti tutti i requisiti di cui al regolamento. In tal caso, peraltro, l’Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L’avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l’uso nel commercio del nome stesso, purché quest’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale. In deroga all’articolo 13, comma 1, un marchio di certificazione può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l’Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L’avvenuta registrazione del marchio di certificazione costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l’uso nel commercio del nome stesso, purché quest’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.
I marchi collettivi sono soggetti a tutte le altre disposizioni del presente codice in quanto non contrastino con la natura di essi. I marchi di certificazione sono soggetti a tutte le altre disposizioni del presente codice in quanto non contrastino con la natura di essi

Da un primo confronto tra le disposizioni emerge la vicinanza e lo stretto parallelismo tra gli istituti del marchio collettivo e di certificazione, che si distaccano tra loro solo per alcuni profili, che qui di sotto, senza pretesa di esaustività, ci accingiamo ad analizzare.
L’analisi e l’apprezzamento di tali differenze è molto importante in vista della prossima scadenza del 23 marzo.

Legittimazione alla registrazione

Possono registrare marchi collettivi, tutte le persone giuridiche di diritto pubblico e le associazioni di categoria di fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti (ad esempio consorzi, fondazioni di partecipazione, reti d’imprese ecc…), con esclusione delle società di capitali (con non pochi dubbi sulla correttezza dell’esclusione delle società consortili di cui art. 2615ter cc) e delle persone fisiche.

Più vasta è invece la legittimazione alla registrazione dei marchi di certificazione, che possono essere depositati/registrati da tutti coloro (persone fisiche, giuridiche, istituzioni, autorità ed organismi) che abbiano tra le proprie attività anche quella di certificazione (e siano quindi stati a loro volta a ciò accreditati da un apposito ente di accreditamento) e che non siano coinvolti – neppure indirettamente – con la fornitura dei prodotti/servizi del tipo certificato (cd dovere di neutralità).

La formulazione della disposizione aveva fatto inizialmente sorgere alcuni dubbi sull’applicazione del requisito dell’accreditamento a tutti i soggetti citati nella norma o ai soli organismi (e al massimo anche ad istituzioni ed autorità). Tuttavia, un’interpretazione della disposizione alla luce delle parole del legislatore delegante (che ha disposto “che possano essere titolari di un marchio di garanzia o di certificazione le persone fisiche o giuridiche competenti, ai sensi della vigente normativa in materia di certificazione, a certificare i prodotti o servizi per i quali il marchio deve essere registrato” – l’art 3 comma 3 lettera f) n. 2 della delegazione europea 2016–2017 n. 163/2017) e il fatto che la norma costituisca applicazione (peraltro volontaria) della direttiva europea (“Gli stati membri possono disporre che un marchio di garanzia o di certificazione non debba essere registrato a meno che il richiedente non sia competente a certificare i prodotti o servizi per i quali il marchio deve essere registrato” – art 28 comma 2 dir. UE 2015/2436) non sembra lasciare spazio ad altre interpretazioni se non a quella che attribuisce il requisito dell’accreditamento a tutti i soggetti di cui all’art 11bis.

La punteggiatura della norma non è delle migliori; tuttavia il precetto non può essere sostanzialmente diverso da quello già stabilito dal legislatore della delega.

Il riferimento è al meccanismo della direttiva CE 765/2008 in materia di certificazione che prevede che gli organismi di certificazione e di controllo garantiscano la propria competenza e indipendenza attraverso un sistema di accreditamento. In attuazione della direttiva, all’interno di ogni stato dell’Unione è stato creato un ente unico di accreditamento che svolge il compito di accertare la competenza dell’organo di certificazione e controllo. In Italia, tale ente è Accredia che attesta, alla fine di un rigoroso percorso di verifica, che organismi, pubblici o privati, siano idonei a valutare la conformità di prodotti o servizi alle prescrizioni stabilite dalle norme obbligatorie o volontarie.

Tuttavia non è già richiesto che sia un “organismo di certificazione ai sensi della normativa UNI EN ISO 9001.

Funzione / uso terzi

I marchi collettivi hanno la funzione di contraddistinguere prodotti o servizi di più imprese appartenenti ad una associazione/gruppo di imprese-imprenditori, svolgendo al contempo funzione di garanzia del fatto che i prodotti/servizi rispettino i requisiti previsti da un regolamento.
Essi sono tipicamente i marchi dei consorzi, come “Pura Lana Vergine”, “Vero Cuoio Italiano”, “Bancomat”, “Grana Padano”, “Made In Italy 100%”, “Vetro Artistico Murano” ecc…
Essi possono essere utilizzati da qualunque operatore economico (produttore o commerciante) che lo richieda e che sia in grado di rispettare i requisiti di applicazione definiti nel regolamento d’uso.

I marchi di certificazione invece, hanno la funzione di certificare determinate caratteristiche dei prodotti e dei servizi (ad esempio la qualità).
Essi sono tipicamente i marchi delle società di certificazione, ad esempio “Leather Standard”, “Tüv Süd”, “L Free”, “Ecolabel” ecc….
Anch’essi devono essere concessi in libera utilizzazione a chiunque ne faccia richiesta e dimostri di rispettare le specifiche previste dal disciplinare.

Il regolamento d’uso

Marchi collettivi e marchi di certificazione devono essere depositati contestualmente (salva la possibilità di integrazione nei 2 mesi successivi) ad un Regolamento o Disciplinare d’uso che contenga precise disposizioni relativamente ai requisiti del prodotto o servizio su cui il marchio può essere utilizzato, le condizioni d’uso del marchio, le modalità di verifica e di sorveglianza e le sanzioni in caso di inosservanza applicate dal titolare.
Nel caso di marchio di certificazione il disciplinare dovrà anche contenere la dichiarazione del titolare di estraneità rispetto alla fornitura dei prodotti/servizi certificati.

Marchi collettivi / di certificazione geografici

Marchi collettivi e di certificazione possono contenere al loro interno un esplicito riferimento alla provenienza geografica ed all’ubicazione del processo produttivo.
Si parlerà a tal proposito di marchi collettivi e di certificazione “geografici” i quali costituiscono, da espressa previsione legislativa (art 11 co 4 e art 11bis co 4), l’unica esplicita deroga al principio generale secondo cui i marchi d’impresa non possono consistere in segni costituiti da indicazioni generiche e in particolare da indicazioni descrittive o segni che in commercio servono a designare la qualità o la provenienza geografica dei prodotti.

I titolari di marchi collettivi o di certificazione geografici non potranno tuttavia impedire ai terzi, i cui prodotti o servizi provengano dalla zona geografica e soddisfino tutti i requisiti del regolamento, di utilizzare il marchio per designare i prodotti in questione in questione, nonché, in caso di marchio collettivo, permettere l’ingresso del titolare del marchio all’interno dell’associazione (cd «porta aperta»).

Allo stesso modo, non potranno neppure impedire ai terzi l’utilizzo del nome geografico contenuto all’interno del marchio, purché quest’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale. Anche l’Ufficio marchi potrà bloccare la registrazione di un marchio collettivo/di certificazione geografico qualora vi sia il timore che ciò possa creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione.

Confronto con la disciplina Ue

La disciplina dei marchi di certificazioni tratteggiata dalla normativa italiana non trova esatto riscontro nel regolamento del marchio dell’Unione Europea. Quest’ultimo, in tema di titolarità dei marchi di certificazione non richiede la dimostrazione di una specifica competenza in quanto la responsabilità di essere qualificati è semmai stabilita in base alle norme nazionali. È inoltre fatto esplicito divieto, all’art. 83 del REG 2017/1001, di registrare marchi di certificazione che attestino la provenienza geografica dei prodotti/servizi.
Sarà perclusa pertanto ai titolari di marchi di certificazione geografici la possibilità di una loro estensione a livello UE.

Confronto con la disciplina delle indicazioni geografiche

Marchi collettivi/di certificazione, soprattutto quelli cd “geografici” presentano una forte assonanza con le indicazioni geografiche protette, DOP ed IGP. Tuttavia non senza alcune sostanziali differenze.

In primo luogo, quanto riguarda la legittimazione al deposito, DOP e IGP possono essere registrate solo da associazioni di produttori o trasformatori tramite un iter lungo e complesso che coinvolge più soggetti pubblici (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e Commissione Europea).
I controlli sul disciplinare sono molto più rigorosi in quanto tali regolamenti sono poi inseriti in provvedimenti normativi di carattere generale (diversamente dai marchi collettivi/ di certificazione il cui regolamento d’uso è invece di fonte privatistica o comunque redatto ad hoc dal soggetto che ne chiede la registrazione).
Inoltre, le DOP/IGP proteggono un insieme di caratteristiche esistenti e dovute a fatturi naturali, umani, tradizionali che non sono state determinate da una fonte privata, ma da anni di storia; le peculiarità protette da un marchio collettivo/di certificazione sono invece autonomamente decise dal loro titolare/depositario.

Le DOP e IGP possono essere utilizzate direttamente da tutti gli operatori economici che producano/forniscano prodotti/servizi in conformità al disciplinare di produzione, senza una previa approvazione; diversamente chi voglia utilizzare un marchio collettivo o di certificazione dovrà farne apposita domanda al titolare. Ovviamente la concedibilità ad un terzo non è automatica, ma è subordinata alla verifica dei requisiti oggettivi dell’azienda (di solito da parte di un comitato interno) che deve soddisfare le norme del regolamento d’uso. Tuttavia, nel caso di possesso dei requisiti, il titolare non potrà arbitrariamente impedire l’utilizzo del segno.

È inoltre possibile che un’indicazione geografica protetta con DOP/IGP formi anche oggetto di un marchio collettivo; l’articolo 53, comma 16 della legge 24 aprile 1998, n. 128, come sostituito dall’articolo 14 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 ammette espressamente la possibilità che vi siano «marchi collettivi che identificano i prodotti D.O.P. (e) I.G.P. […] detenuti, in quanto dagli stessi registrati, dai consorzi di tutela per l’esercizio delle attività loro affidate», verosimilmente allo scopo di rafforzare la tutela di cui godono queste denominazioni (possibilità che sembra essere ammessa anche dalla giurisprudenza comunitaria). È chiaro però che si tratterà qui di marchi collettivi particolari, nel senso che il titolare di essi dovrà concederne l’uso a tutti i produttori della zona tipica, secondo una logica analoga all’obbligo di contrarre del monopolista.

Conversione marchi collettivi e di certificazione: termini per presentare la domanda

Il termine ultimo per depositare le domande di conversione scadrà improrogabilmente il 23 marzo 2020 a pena di decadenza della domanda/registrazione.
Essa impone una scelta ponderata tra marchio collettivo o marchio di certificazione. Si consiglia pertanto di iniziare a valutare, con un certo anticipo rispetto alla scadenza del 23 marzo prossimo, di concerto con i propri consulenti, se il marchio depositato ex art 11 vecchia disposizione, abbia i requisiti per la conversione in marchio collettivo o di certificazione.