L’Intelligenza Artificiale rappresenta una delle più grandi sfide del XXI secolo. Negli ultimi anni, a motivo della sempre più estesa capacità di ragionamento autonomo e complessità logica che sistemi basati su intelligenza artificiale presentano, di particolare attualità e interesse è diventata la necessità di regolare e normare giuridicamente il trattamento e la tutela di tali sistemi, oltre che da un punto di vista etico, anche in relazione alla loro capacità creativa e al diritto all’invenzione.

L’Intelligenza Artificiale

L’intelligenza artificiale (o, in breve, IA) è una disciplina o branca dell’informatica che studia le proprietà dell’intelligenza – del tipo comunemente inteso per l’essere umano – applicata a sistemi computerizzati e metodi informatici. Nonostante la sua concezione, nel senso moderno del termine, abbia origine nella metà del secolo scorso, è soltanto negli ultimi anni che, grazie al notevole sviluppo delle applicazioni informatiche, che si stanno scoprendo le reali potenzialità di tale disciplina. Questi metodi o algoritmi IA sono, in genere, in seguito ad un addestramento guidato, in grado di apprendere autonomamente da dati e di elaborare tali dati in un modo che dimostra un certo atto razionale.

I sistemi dotati di intelligenza artificiale possiedono, tra le altre, le seguenti caratteristiche:

  • capacità di acquisire autonomamente informazioni attraverso sensori e/o scambiando dati con l’ambiente circostante (interconnettività) e analizzando questi dati;
  • capacità di apprendere attraverso l’esperienza e l’interazione;
  • capacità di adattare il proprio comportamento, il proprio linguaggio e le proprie azioni all’ambiente operativo.

In particolare, nel c.d. apprendimento automatico o, dall’inglese, “Machine Learning, il sistema informatico, invece di essere esplicitamente programmato per eseguire una determinata attività, utilizza un algoritmo di apprendimento attraverso il quale configura un suo stato interno in risposta a dati di input esterni, accrescendo la propria facoltà cognitiva.

Attualmente, sistemi e metodi a intelligenza artificiale sono già ampiamente sviluppati e impiegati nei principali settori, tra cui industria robotica, automotive, settore medico-sanitario, traduzione simultanea, economia, etc. Grazie alla loro rapidità di apprendimento, alla possibilità di analizzare e gestire moli di dati impensabili per un essere umano e alla capacità di risolvere problemi in tempi ridottissimi, tali sistemi sono ormai in grado di ottenere autonomamente risultati tali da soddisfare i requisiti di brevettabilità come definiti dai regolamenti che disciplinano la proprietà industriale.

Ma l’attuale sistema giuridico brevettuale è pronto per farsi carico di una tale trasformazione industriale? La risposta è no.

Il “Caso DABUS”

Tra l’ottobre e il novembre 2018, Stephen Thaler, ingegnere informatico e direttore generale della società Imagination Engines Inc., Missouri, USA ha depositato, presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), le due domande di brevetto 18275163.6 e 18275174.3 riguardanti, rispettivamente un contenitore per alimenti a forma di frattale e un dispositivo di segnalazione ad alta visibilità. Per entrambe le applicazioni è stato designato come inventore il sistema DABUS.

DABUS è una particolare macchina creativa ad intelligenza artificiale interconnessa, contenente una prima rete neurale artificiale, addestrata con informazioni generali di vari settori della tecnica. Questa prima rete è in grado di generare nuove idee in risposta ad auto-perturbazioni ambientali. Una seconda rete neurale “critica” monitora tali idee, selezionando e identificando quelle sufficientemente innovative rispetto alla base di conoscenza preesistente nella macchina. La rete critica genera anche una risposta efficace che, agendo sulle perturbazioni, rafforza selettivamente le idee aventi la maggior novità, utilità e/o valore.

Nei due casi in esame, quindi, la macchina, dopo aver ricevuto una formazione su nozioni generiche, ha proceduto a concepire autonomamente l’invenzione e a identificarla come nuova e saliente.

Il rifiuto dell’EPO e il diritto all’invenzione

L’EPO, analizzando i requisiti formali delle due domande, ha emesso un rilievo per invitare il titolare ad allegare una dichiarazione che designasse la paternità dell’invenzione la quale, in accordo con l’Art. 81 della Convenzione sul Brevetto Europeo (EPC) e annessa regola 19, deve contenere i dati anagrafici dell’inventore, tra cui nome, cognome e indirizzo di residenza, nonché i rapporti intercorrenti tra l’inventore e il titolare della domanda. Quindi, in seguito ad uno scambio di osservazioni tra il titolare delle due domande e la Commissione d’Esame, incentrate sull’impossibilità di fornire tali dati nel caso di invenzione attribuita ad una macchina, e dopo aver ascoltato le argomentazioni del richiedente in un’udienza orale privata tenutasi il 25 novembre 2019 presso la sede dell’EPO, la Commissione d’Esame ha rifiutato le due domande di brevetto perché non in accordo con i requisiti del regolamento della Convenzione sul Brevetto Europeo.

In particolare, nelle sue decisioni, l’EPO ha stabilito che, nell’interpretazione del quadro giuridico del sistema brevettuale europeo, l’inventore designato in un brevetto europeo deve essere una persona fisica, osservando che una simile conclusione trova pieno appoggio nella giurisprudenza internazionale. Inoltre, la designazione di un inventore è obbligatoria in quanto comporta una serie di conseguenze legali, tra cui garantire che l’inventore designato sia legittimo e che possa beneficiare dei diritti inalienabili derivanti da questo status. Un sistema a IA, essendo sprovvisto di capacità giuridica non ha la possibilità di rivendicare autonomamente la proprietà di tali diritti e, ovviamente, il solo espediente di fornire un nome e un indirizzo a una macchina non è sufficiente per l’acquisizione di capacità giuridica.

Le due decisioni sono attualmente impugnate presso la Camera dei Ricorsi dell’EPO (Boards of Appeal). Analoghi procedimenti sono in corso presso gli Uffici Brevettuali statunitense (USPTO) e inglese (UKIPO).

È necessario un nuovo ordinamento giuridico brevettuale?

Attualmente, la quasi totalità delle giurisdizioni concorda, esplicitamente o implicitamente, nell’assegnare il diritto all’invenzione esclusivamente all’essere umano. Tale concezione, ormai datate, in realtà nasce per escludere i soggetti giuridici (le aziende o gli enti di ricerca) dalla paternità dell’invenzione. Quest’ultima, infatti, dando luogo a diritti morali inalienabili può essere assegnata soltanto a soggetti fisici, in grado di godere di tali diritti.

Tale concezione viene confermata considerando il concetto stesso di invenzione, la quale, secondo la giurisprudenza, deve essere definita non come il risultato materiale in sé, dotato (eventualmente) dei requisiti di brevettabilità (novità, altezza inventiva e applicazione industriale), bensì come atto creativo dell’ingegno umano, assegnabile soltanto ad una persona fisica.

Tali considerazioni appaiono tuttavia inadeguate se applicate a sistemi a intelligenza artificiale, i quali presentano, certamente, molti punti in comune con le persone fisiche. La possibilità di assegnare diritti morali e giuridici alle macchine senzienti è tema di particolare attualità.

Perché attribuire il diritto all’invenzione alle macchine?

Diversi studi sono stati portati avanti sull’argomento negli ultimi anni. Aprire la strada alle invenzioni figlie di sistemi ad intelligenza artificiale porterebbe, secondo molti, notevoli vantaggi allo sviluppo della tecnica. In particolare, Ryan Abbott, professore di scienze giuridiche e della salute dell’Università del Surrey (UK), a capo del team di esperti responsabili del progetto DABUS, ha approfonditamente argomentato la difesa di invenzioni derivanti da intelligenza artificiale.

In primo luogo, si incentiverebbe l’innovazione, e con essa la divulgazione di informazioni, la commercializzazione e lo sviluppo di invenzioni. La concessione di brevetti basati su invenzioni concepite da intelligenza artificiale, infatti spronerebbe chi sviluppa, produce o utilizza questi sistemi a continuare a investire su di essi, tanto più in una società industriale sempre più dipendente dalla computerizzazione e dall’informatizzazione dei processi produttivi.

Inoltre, per assurdo, consentire a intelligenze artificiali di essere accreditate come inventori proteggerebbe gli stessi diritti morali degli inventori umani. Infatti, assegnare arbitrariamente ad una persona fisica un’invenzione per la quale, in realtà, ha dato un contributo minimo, consentirebbe allo stesso soggetto di prendersi il merito per un lavoro che non ha compiuto, svalutando l’intero processo inventivo. Così facendo si rischierebbe di equiparare l’atto creativo proprio dell’invenzione ad un gesto di programmazione o, addirittura, ad un gesto compilativo. Ciò tanto più è evidente quanto l’invenzione della macchina si discosta dalle informazioni con cui è stata addestrata e dal settore della tecnica di riferimento.

Difficoltà giuridiche

Da queste considerazioni appare chiaro come sia necessario distinguere i concetti di titolarità del brevetto e paternità dell’invenzione, analogamente a quanto attualmente previsto dai codici di proprietà industriale per quanto riguarda le invenzioni di dipendenti di aziende o enti di ricerca. Tale distinzione permette al contempo di tutelare il diritto morale di essere riconosciuto inventore e l’interesse, da parte del datore di lavoro, di sfruttare commercialmente l’invenzione. Tuttavia, come già accennato in precedenza, secondo le attuali disposizioni, non risulta possibile assegnare ad una macchina il ruolo di dipendente d’azienda, dal momento che quest’ultima, non possedendo capacità giuridica e diritto di proprietà, non può essere intestataria di alcun titolo.

Inoltre, per quanto minimo possa essere il contributo dato dal programmatore della macchina rispetto all’entità dell’invenzione generata, è ovvio che senza tutta la ricerca tecnologica alle spalle del processo costitutivo della macchina non si sarebbero potuti ottenere i medesimi risultati.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra illustrato, appare evidente come l’attuale sistema giuridico brevettuale risulti inadeguato in una società delle macchine. Con lo sviluppo sempre crescente di sistemi autonomi, in grado di prendere decisioni e dotati di capacità creativa, è necessaria una riformulazione generale del diritto alla brevettazione, in particolare del diritto all’invenzione. Questa necessità si inserisce in un contesto molto più ampio, che si prevede essere uno dei temi più caldi del prossimo futuro, ovvero l’esigenza di una regolamentazione dei diritti delle macchine, sul piano etico, commerciale, della sicurezza e delle interazioni sociali.