La Corte d’Appello di Colonia, Germania, ha stabilito con sentenza 6 U 61/18 del 18.01.2019 che un prosciutto commercializzato con la denominazione “Culatello di Parma” in Germania non può essere venduto con tale dicitura, in quanto illecitamente evocativa della D.O.P. “Prosciutto di Parma”.

Il Consorzio del Prosciutto di Parma, nato nel 1963 con l’obiettivo di tutelare e valorizzare in tutto il mondo il Prosciutto di Parma, ha intrapreso una causa contro un esportatore e rivenditore di affettati in Germania, avente sede in Italia.

La vicenda giudiziaria si è, in particolar modo, incentrata sulla valutazione se il venditore convenuto in giudizio con l’utilizzo dell’appellativo “Culatello di Parma” alludesse indebitamente alla dicitura “Prosciutto di Parma”, la quale è protetta come denominazione d’origine ai sensi del Reg. UE 1151/2012.

Il sopra citato regolamento stabilisce che non è ammissibile una “qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente” (art 13, n.1., lett. b del regolamento UE n. 1151/2012).

Trattandosi di una protezione europea, il criterio di riferimento è infatti – seguendo il ragionamento dei giudici della Corte d’Appello –  il consumatore europeo e non quello nazionale, benché il Tribunale in primo grado avesse parlato letteralmente di “consumatore tedesco”.

Nonostante ciò, la Corte d’Appello ha affermato che essendo giudici tedeschi del Tribunale di Colonia anche cittadini europei, essi non avevano commesso errori nell’applicazione della regola al caso concreto (par. 78 della sentenza).

La Corte d’Appello ha inoltre ritenuto che il convenuto non avesse dimostrato in modo sufficiente che il consumatore europeo medio fosse consapevole delle differenze tra le varietà tradizionali di prosciutto, ciò ha condotto alla conclusione circa la sussistenza di un rischio di assimilazione del “Culatello di Parma” al “Prosciutto di Parma” (par. 91); Tuttavia – a parere dello scrivente – una tale conclusione sotto un’ottica solamente italiana potrebbe essere ampiamente discussa.

Mentre “Prosciutto di Parma” è una denominazione di origine protetta, ciò non si applica al “Culatello di Parma” nonostante esso provenga dalla medesima regione. Entrambi i prodotti sono affettati provenienti dalla parte posteriore del maiale; tuttavia, a differenza del “Prosciutto di Parma” il “Culatello” contiene ulteriori ingredienti come pepe e aglio.

Secondo la sentenza della Oberlandesgericht, sia il prodotto venduto con l’appellativo “Culatello di Parma”, sia il suo imballaggio si riferiscono in modo illecito al “Prosciutto di Parma”.

Ciò è dimostrato dalla forte somiglianza tra i nomi dei prodotti e tra i prodotti stessi, che non sarebbero distinguibili per il consumatore medio, secondo la Corte.

Infatti anche se – come nel caso di specie – i nomi corrispondono solamente in due parti su tre (i.e. “di Parma”), questo sarà sufficiente per stabilire un’evocazione. Ciò è in linea con l’ampia interpretazione dell’art 13 n.1., lett. b) del regolamento UE n. 1151/2012, che si riferisce espressamente ai casi di agganciamento parassitario, fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (par. 81).

Infatti, sebbene la protezione delle D.O.P. è relativa alla denominazione di origine globalmente considerata, anche l’utilizzo di una sola sua parte può essere considerato sufficiente per ritenere sussistente un’evocazione ai sensi dell’art. 13 1. b) reg. 1151/2012 (par. 21).

Inoltre, non occorre già la prova della sussistenza dei presupposti del rischio di confusione da parte del consumatore, ma è sufficiente che il consumatore “associ mentalmente il prodotto in questione con la denominazione protetta” (par. 21).

Nel caso di specie, inoltre, tale collegamento è rafforzato dall’imballaggio, alle etichette presenti sullo stesso e dal nome del prodotto, che riconduce inequivocabilmente alla denominazione protetta “Prosciutto di Parma”.

Inoltre, la somiglianza delle etichette dei prodotti dimostra che il convenuto ha tentato di sfruttare la notorietà della succitata denominazione protetta.

La sentenza 6 U 61/18 ha quindi confermato la pronuncia del Tribunale inferiore, ma sono ancora aperti i termini per un eventuale ricorso in Cassazione.

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